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Le parole pesano
Di Maurizio Trezzi
Nel mondo della ricerca sulla comunicazione è ormai consolidata la convinzione di come attraverso i processi comunicativi sia possibile generare, accrescere e alimentare processi sociali. In diversi studi e ricerche si evince come i meccanismi di comunicazione, i processi che li sovraintendono e gli effetti che producono, portano alla costruzione di fenomeni di conoscenza diffusa[2].
Si tratta delle cosiddette rappresentazioni sociali offerte dai media - e in particolare dalla televisione – che al termine di processi comunicativi complessi forniscono una lettura della realtà sulla quale esercitano, di fatto, la loro influenza andando a orientare la costruzione della conoscenza[3].
E’ pertanto evidente che la comunicazione riveste un carattere d’essenzialità nella costituzione e nel mantenimento della società perché ha un ruolo determinante nell’influenzare immagini, valori e percezioni. E’ altrettanto chiaro come, in diverse occasioni, sia possibile cercare di utilizzare, in maniera strumentale, i mezzi di comunicazione per influenzare e incidere sulle percezioni diffuse dei cittadini, sulle loro credenze e atteggiamenti per poter creare condizioni favorevoli alla ricerca del consenso e di indirizzo politico.
I “falsi invalidi”
La vicenda della cosiddetta “lotta ai falsi invalidi”, scatenata dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti nella primavera del 2010, ne è un esempio paradigmatico.
In questo caso, scaturito dalle affermazioni del Ministro durante una conferenza stampa nel maggio del 2010 di presentazione della legge di Formazione del Bilancio e oggetto di un meditato e sapientemente orchestrato piano di comunicazione, occorre considerare la relazione tra il processo di costruzione del consenso sull’argomento e le modalità con il quale questo è stato escogitato, costruito e realizzato.
In quei giorni, all’interno di una crisi economico-finanziaria che discendeva dai crack degli Istituti di Credito statunitensi e che si sarebbe riverberata, come raccontano le cronache degli ultimi mesi, nella crisi dei debiti sovrani di mezza Europa, il Governo italiano presentava una manovra finanziaria per raddrizzare il timone di una barca indirizzata in maniera preoccupante verso la deriva. Giulio Tremonti, con un sillogismo solo apparentemente spericolato, decise di proporre agli italiani l’equazione: debiti e crisi, sprechi e tagli, falsi invalidi.
La soluzione ai problemi stava tutta li, secondo le parole del Ministro: nella lotta a quelle persone che in maniera fraudolenta e illegale vivevano; “alle spalle dello Stato” spacciandosi per disabili. Non è certamente compito di questa breve riflessione addentrarsi sulle questioni numerico-contabili di queste affermazioni (la portata dei provvedimenti rispetto all’enormità del debito) e nemmeno sulle basi legislative e normative che sovraintendono alla materia. E’ invece interessante riflettere sulle modalità e sulle implicazioni comunicative e di costruzione della percezione che l’opinione pubblica ha della disabilità – e quindi della invalidità certificata attraverso apposite verifiche – che le dichiarazioni di Tremonti, e non solo le sue, hanno prodotto.
La comunicazione della disabilità
Solo brevemente è utile inquadrare la questione in termini comunicativi. L’Italia è un Paese che conosce poco e male la disabilità. Una nazione nella quale le persone disabili, ancora in quasi tutti i documenti e le norme prodotte dalla Pubblica Amministrazione sono definite: “handicappati o portatori di handicap” termini che sottintendono incapacità, diversità, limite, non abilità. Un Paese dove, a parte qualche recentissimo esempio, la pubblicità, le fiction, i talk show, ignorano l’esistenza in vita di persone disabili[4], non le rappresentano, le raccontano poco e male (in maniera pietistica o esaltandone doti da supereroe)[5] perché queste non fanno parte dell’immaginifico comune. Se girando un sabato pomeriggio qualunque in una grande città italiana del Nord, e ancora più del Sud, non si incontrano persone disabili (per i più svariati motivi ad esempio perché i mezzi pubblici sono poco o per nulla accessibili o le barriere architettoniche sono ancora un limite oggettivo) per quale motivo il mondo della comunicazione e dell’informazione dovrebbe occuparsi di questa parte dell’universo-mondo?
In questo contesto si devono inquadrare le parole del Ministro Tremonti, del Presidente del Consiglio Berlusconi e dei titoli di giornali e telegiornali vicini alle posizioni del Governo. Un tam tam mediatico, reso possibile dalla straordinaria forza di fuoco giornalistica a disposizione dell’esecutivo, contro l’esercito dei falsi invalidi che avrebbero depredato, con le loro false certificazioni, le finanze pubbliche. Un piano di comunicazione, per ottenere un imprimatur e una condivisione popolare su provvedimenti diversi e più ampi da quelli che venivano realmente comunicati, con l’obiettivo reale di limitare e diminuire le spese sociali per le persone disabili.
Il progetto, culminato con la copertina di Panorama del marzo 2011 con Pinocchio in carrozzina (metafora del falso invalido bugiardo e imbroglione) era infatti, con palese evidenza, orientato a generare un effetto di sollevazione popolare nei confronti degli invalidi imbroglioni (“il non vedente trovato al volante della sua auto”) che potesse sostenere i tagli e le limitazioni in termini di servizi, contributi assistenziali e indennità che il Ministro e il suo Governo avevano intenzione di praticare.
Quello che interessa però qui sottolineare è come tale progetto poggiasse le sue radici dentro la più stereotipata visione di rappresentazione della disabilità, purtroppo abilmente utilizzata per fini propagandistici. Una concezione estremamente medicale, percepita come una malattia non come una condizione, quindi bisognosa di cure (non di ausili e di progetti di vita indipendente), e assistenza, vissuta come un costo e non come una possibile risorsa. Ed è all’interno di questa concezione, tutt’altro vicina dall’essere superata, che le posizioni del Ministro potevano avere speranza di essere recepite, metabolizzate e quindi assimilate da parte dei cittadini, come posizioni condivisibili.
In termini di rappresentazione sociale, i vocaboli usati dal Ministro, i titoli dei giornali, le riprese del Presidente del Consiglio, hanno fatto compiere non uno ma dieci passi indietro a quel processo di lenta e difficile costruzione di una rappresentazione della disabilità al passo con l’evoluzione di un concetto diffuso, basato sui diritti, sulla condizione e sulle abilità delle persone disabili. Il danno provocato da quelle parole, che restano nella mente dei cittadini ancora più dei provvedimenti annunciati sui quali poi fu fatta marcia indietro, risiede nella consapevolezza di come le credenze e le convinzioni che le persone hanno sulla disabilità dipendono non tanto da come il fenomeno si presenta nella realtà, ma piuttosto dal modo in cui la rappresentazione di tale realtà viene veicolata dai mezzi di comunicazione. In condizioni di non elevata conoscenza, quello che accade ai cittadini che non sono direttamente coinvolti nella questione disabilità è servirsi delle informazioni più facilmente disponibili, di quelle che arrivano prima al sistema cognitivo per costruirsi un’opinione[6].
Conclusioni
Il martellamento di quei giorni, le parole, il sarcasmo, gli attacchi dei giornali, i servizi televisivi, hanno certamente dato in pasto all’opinione pubblica informazioni sulla base delle quali essa ha potuto costruire la sua rappresentazione sociale della disabilità assimilandola a concetti come frode, furbizia, evasione fiscale, truffa, disonestà. Un processo pericoloso e dagli effetti assai più negativi rispetto a quelli che avrebbero sortito gli stessi provvedimenti annunciati e, come detto, poi in larga parte non attuati. Il “peso” della comunicazione e il valore che essa riveste nella società moderna è quindi molto più alto di quello che si è propensi a considerare e i risultati di processi comunicativi reiterati e strumentalmente manipolati portano a conclusioni poi difficili da scardinare e modificare per ridare un senso al concetto di “verità” diffusa e condivisa.
E quello dei falsi invalidi è solo uno dei casi del genere messo in scena in Italia negli ultimi anni. Basti pensare alla lunghissima serie di dichiarazioni, alimentate in particolare da alcune forze politiche, che negli anni si sono succedute sul tema della lotta all’immigrazione clandestina che creavano un rapporto di causa ed effetto fra la crescita del numero di stranieri extracomunitari presenti in Italia e i reati commessi come rapine, omicidi e violenze. Cifre smentite, sempre nel corso degli anni, da rapporti Istat, da dati delle Procure della Repubblica e dei Tribunali dai quali, al contrario, si evince una diminuzione, ad esempio, del numero di omicidi i cui trend si sono mossi in maniera inversamente proporzionale alla crescita di immigrati nel Paese. Eppure, nell’opinione pubblica, la percezione di mancanza di sicurezza e aumento del rischio personale legato alla presenza di cittadini stranieri è cresciuta. Come nel caso dei “falsi invalidi” questi processi sono tanto semplici da innescare quanto difficili da ridimensionare e portano con sé una serie di questioni morali, deontologiche, civiche e di responsabilità sulle quali un’attenta analisi e un aumento di consapevolezza da parte dei cittadini potrebbe condurre a scelte e decisioni popolari che - attraverso il consenso e le scelte consapevoli – siano in grado di penalizzarle e isolarle definitivamente.
[2] W.Ware, M.Dupagne, “Effect of Us Television programs on foreign audience” Journalism Quarterly. 1994
[3] A. Contarello. B.M Mazzara, Le dimensioni sociali dei processi psicologici. 2002
[4] V. Russo, M. Trezzi: Comunicare la disabilità 2010
[5] A tal proposito sono emblematici nel primo caso la vicenda di Francesco Nuti invitato alla trasmissione “Stasera che Sera” di Barbara d’Urso, poi cancellata anche per le proteste seguite all’intervista all’ex attore e nel secondo i servizi sull’atleta Oscar Pistorius rappresentato come l’uomo bionico.
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