mercoledì 24 ottobre 2012
Il Palalido di Milano e la relatività ristretta
La fisica classica, quella prima di Einstein e di Schrödinger, postulava l’esistenza di spazio e tempo assoluti. Il loro valore era indipendente dal sistema di riferimento utilizzato e la loro misurazione uguale in qualunque sistema. Con la teoria della relatività ristretta Albert Einstein scardinò questi principi per fare del tempo una variabile, appunto, relativa. Un principio perfettamente applicabile, senza dove fare ricorso a complesse formule matematiche, all’andamento di certe opere pubbliche. Il Palalido di Milano ne è un esempio perfetto. Qui il tempo, dopo gli annunci e i proclami sembra essersi fermato.
La vicenda non si perde nella notte dei tempi ma occorre resettare gli orologi a due anni fa. Era il 5 ottobre 2010 quando, in pompa magna, il Sindaco Letizia Moratti e l’assessore allo Sport Alan Rizzi, presentavano a Palazzo Marino il progetto di ristrutturazione straordinaria dell’hangar di piazza Stuparich. Costo 7 milioni di euro, totalmente provenienti dalle casse comunali, 5.000 posti e rotti la capienza finale. “Sarà la casa dello sport, degli eventi e della musica”, annunciava l’abbronzato assessore. Inizio lavori novembre 2010, conclusione prevista dopo 200 giorni, poco meno di sette mesi. I cronisti più previdenti, avvezzi ai proclami in odore elettorale, scommettevano su una durata di almeno un anno. Passarono sei mesi e non successe niente.
Ad aprile 2011, in piena campagna elettorale, l’Assessore Rizzi e l’allora Presidente di Milano Sport Mirko Paletti, arrivarono all’alba davanti al Palalido per riannunciare, davanti alle telecamere di Rai3 Lombardia, l’inizio dei lavori. Difficile a quel punto rispettare i tempi previsti (i 200 giorni) ma tant’è. Cambia la Giunta e i lavori non iniziano. Poi finalmente ecco le ruspe: parte la demolizione. E poi tutti si ferma, di nuovo. Oggi del futuro PalaAJ (Giorgio Armani patron dell’Olimpia sarà lo sponsor del Palazzetto) a 700 giorni dalla conferenza stampa del 2010, resta solo un cumulo di macerie e che ricorda, a chi non è più giovanissimo, le rovine e i detriti dei bombardamenti della seconda guerra mondiale che proprio dalle parti del Palalido servirono per erigere il Monte Stella di Milano. Tempi per la conclusione dell’opera. Nessuno li sa.
Caso isolato? Nemmeno per sogno. Oggi a Milano l’unico Palazzetto dello Sport a disposizione delle società sportive è quello edificato, a cura della Federazione Italiana Pallavolo, nel Centro Federale Pavesi dalle parti di via Gallarate. Niente Palalido, niente PalaSharp (più famoso come PalaTrussardi), sulla cui ristrutturazione tutto tace. Niente Vigorelli, altro reperto preistorico che sarebbe dovuto diventare, nei piani dei vari assessori succedutisi a Palazzo Marino negli ultimi venti anni, la nuova O2 Arena di Milano. E qualcuno a Londra, a vedere com’è fatta quella vera, c’è anche andato.
Il Palalido è però lo specchio di un pezzo di Italia che non funziona, quello delle opere pubbliche: costose, in ritardo e spesso nate vecchie. Sono 7 su 10 le opere pubbliche in ritardo lavori, grandi o piccoli, che non riescono a rispettare le promesse, o meglio i vincoli previsti nel contratto d’appalto. Il dato è dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, elaborato sulla base delle informazioni che gli stessi enti appaltanti trasmettono all’Osservatorio dei contratti pubblici considerato sulle opere aggiudicate e concluse, o meno, fra 2008 e 2011. Per primi, a creare aspettative poi disattese, sono i politici, abilissimi ad annunciare miracoli senza avere cognizione dei tempi. Poi ci si mette la burocrazia che costringe a passaggi infiniti prima di poter avviare i lavori. E per finire, le imprese edili che molto spesso, adducendo cause di forza maggiore, prolungano i lavori per accedere a revisioni di prezzo che fanno lievitare i costi. Anche questa è una piaga tutta italiana. Secondo la Corte dei Conti sui costi immediati o diretti della spesa dell’intervento pubblico per le grandi opere c’è una lievitazione straordinaria calcolata intorno al 40 per cento. Insomma, tempi che si allungano a dismisura, costi che certamente saranno superiori e servizi alla città e alla collettività che ritardano, accumulando così disagio a disagio. E per lo sport milanese, come detto, il problema è ancora maggiore.
La soluzione? Forse sta nel riproporre l’idea, più volte suggerita in passato ma sempre accantonata, degli impianti di quartiere. Strutture semplici, veloci da realizzare con una capienza fra i 600 e gli 800 posti, che possano essere la vera risposta alle esigenze della società sportive e del territorio. Spazi perfetti per fare allenare e giocare i giovani e per far uscire le società dal rapporto, ambiguo e spesso conflittuale, con gli Istituti Scolastici con cui la convivenza, nelle palestre, è sempre più difficile. Certo servono investimenti, non molti in realtà. Con un Palalido se ne potrebbero realizzare almeno una decina. E serve anche una visione di lungo periodo, un guardare oltre al proprio naso, che notoriamente, purtroppo non è una caratteristica comune a molti degli amministratori e politici italiani.
Maurizio Trezzi
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