di Maurizio Trezzi
E’ imminente la convocazione a Roma, nel quadro del
semestre di presidenza italiana UE, della conferenza “The Promise of the EU”, un evento di spicco che governo italiano e
Commissione UE dedicano al tema della comunicazione a tutto tondo: ricerca
d’opinione, comunicazione diretta, socialnetwork e naturalmente ruolo dei media
e in particolare della rete delle tv pubbliche (EBU, organismo coordinate delle
tv pubbliche è tra i partner). Il programma (Maxxi, Roma, 12 e 13 settembre) è
annunciato in rete al link http://www.politicheeuropee.it/file_download/2390
I
membri del governo italiano Sandro Gozi (Affari
europei) e Antonello Giacomelli (Comunicazioni)
apriranno e chiuderanno i lavori insieme a Gregory Paulger (dg Comunicazione
della Commissione), Silvia Costa (presidente della Commissione cultura e
comunicazione del Parlamento europeo) e Anna Maria Tarantola (presidente della
Rai) con panel che comprendono tra moderatori e rapprteurs nomi importanti: da
Jean Paul Fitoussi a Luigi Gubitosi, da Enrico Giovannini a Jean-Paul Philippot
(presidente EBU) A presiedere i lavori della conferenza – introducendo apertura
e conclusioni – il prof. Stefano Rolando, docente allo Iulm a Milano, per dieci
anni direttore generale dell’informazione alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri e tuttora presidente del Club of
Venice (coordinamento dei responsabili della comunicazione di governi e
istituzioni UE, con segretariato presso il Consiglio europeo). Stefano Rolando
è anche il presidente del Comitato Brand
Milano e dedica al tema del branding pubblico nuovi orientamenti di ricerca
nella comunicazione pubblica.
Gli abbiamo dunque rivolto alcune domande
Si apre con
la conferenza di Roma del 12 e del 13 settembre una riflessione tra istituzioni
e operatori media e comunicazione su identità e immagine dell'Unione Europea.
Cosa c’è di concreto negli obiettivi e non del “già visto” in questo genere di
convegni?
Buona
domanda. In realtà da rivolgere a chi governa, in Italia e – tra poco – in
Europa. E’ vero che il punto di svolta si è avuto con il discorso di avvio del
semestre di presidenza italiano che Renzi ha fatto a Strasburgo. Il piano degli
eventi consegnato per iscritto; il tema
della riqualificazione partecipativa tra Europa e popoli centrato con
comunicatività sugli equilibri oggi (non solo sul passato) tra valori e
interessi. Finché non c’è nuova politica, non ci sarà nemmeno nuova comunicazione
in Europa. E per fare nuova politica il nodo del rapporto tra le “cose in
comune” (l’unione) e le “cose regolate” (il mercato) ha bisogno di una
rifondazione. Difficile da fare a 28, ma non impossibile perché il mondo spinge
a darci una regolata.
E quindi
questa conferenza…
…e quindi
questa conferenza punta a fare un inventario di luci e ombre per vedere se si
schiudono porte. Da un lato capire l’opinione pubblica (in apertura si presenta
il nuovo rapporto di Eurobarometro – che a mio avviso ha dei limiti – ma è
anche una fotografia abbastanza attendibile), dall’altra parte si tocca il
polso degli operatori dei media per capire come anche nell’innovazione delle
comunicazioni l’Europa possa conquistare un nuovo coinvolgimento popolare.
Quali sono
le ombre che emergono?
Non entro sul
Rapporto che è embargato fino a sabato. Ma sull’evidenza - che proverò a dire
in poche battute in apertura – che dopo le due magiche parole Pace e Progetto la parola che ha segnato l’ultima fase
della vicenda europea (sempre parole con la P) è la parola Paura. Da questo cono d’ambra si esce non con una
trovata comunicativa, ma con una
riprogettazione che connetta politica, cultura, economia e informazione. Che
gli stati membri pensino di conferire agli affari europei il meglio della propria
classe dirigente è un primo passo (qualcuno lo fa, altri non pare). E con
attenzione seria non solo all’Europa politica ma anche a quella dei manager e
dei tecnici.
I fattori di
spinta al cambiamento quali sono?
Lo sforzo
congiunto per l’uscita dalla crisi e la politica estera. Cioè la rimessa in
convergenza degli interessi attorno all’economia reale e la capacità di avere
ruolo di fronte alle aree di crisi che da più parte lambiscono i confini
dell’Europa chiedendo il peso in campo di un soggetto politico responsabile del
peacekeeping.
Veniamo alla
comunicazione pubblica. Dopo l’uscita di Comunicazione,
poteri e cittadini (Egea, gennaio 2014) era annunciato nell’anno un secondo libro di
ripensamento0 della materia. Qualche
notizia?
Eccome, il
secondo libro – programmato dal 2013 con Egea – è scritto e consegnato. Parlandone
“alla milanese” (perché una parte è dedicata al caso Milano) spero che sia in
libreria prima di Sant’Ambrogio. Titolo Citytelling, cioè raccontare le città. La prima parte è
un approccio generale al branding pubblico, su cui lavoro da tempo dicendo, da
tempo, che qui si sviluppa un nuovo approdo della comunicazione pubblica
impegnata a raccontare territori e paesi sotto il profilo del patrimonio
simbolico collettivo, ovvero nel rapporto tra identità e vocazioni. La seconda
parte presenta in un primo bilancio il lavoro del Comitato Brand Milano attorno
alla città. Questa seconda parte è preceduta da un fitto colloquio con Piero
Bassetti sulle trasformazioni della città, che naturalmente spingono per un
nuovo racconto, dunque per un nuovo citytelling di Milano.
Anche qui,
quali sono le più importanti spinte?
Certamente
Expo è un’occasione, cioè una superficie lunga e ampia di racconto possibile,
agendo anche su uno spazio strutturale di questo tipo di eventi che, a
differenza degli eventi sportivi mondiali brevi, risultano lunghi ma poco mediatizzati e
quindi lasciano spazi anche ad altri contenuti. Poi la costruzione della città
metropolitana, che non cambia solo dimensioni ma anche sostanza identitaria. E
infine (lo dico perché Bassetti ne parla nel testo e ne parla Gianluca Vago,
coordinatore dei rettori della Lombardia, che scrive la prefazione) il grande
tema non solo del passaggio da locale a globale ma della convergenza e
dell’integrazione tra queste due dinamiche che appartengono alla città di
Milano.
Nelle vicende
del Comitato Brand Milano ci sono stati dibattiti un po’ oziosi sul concetto di
”brand”. Superati?
Certamente,
il mondo del design reagisce alla parola considerandola cosa propria, cioè
confinata dentro la costruzione di marchi. E’ comprensibile. Ma la materia ha
piuttosto preso una diversa ampiezza dentro ciò che disciplinarmente si chiama
“comunicazione narrativa”. Ora si sa che lo spazio è davvero
multidisciplinare. Che tante voci sono preziose e naturalmente anche quella dei
creativi che hanno potere di profondità e al tempo stesso di sintesi.
Un approccio
– per riprendere il tema di prima – oggi largamente radicato in Europa?
Diciamo con
molti casi efficaci legati proprio alla trasformazione delle città e
all’importanza dell’attrattività. Presenterò il caso Milano – che si è
sviluppato grazie alle determinazioni del sindaco Giuliano Pisapia – alla conferenza Europcom,
promossa dal Comitato Regioni e Città della UE, a Bruxelles il 15 ottobre.
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