di Maurizio Trezzi
A partire dal 19 gennaio, è in distribuzione nel circuito delle librerie italiane il nuovo libro di Stefano Rolando (professore di Teoria e tecniche della comunicazione all’Università Iulm e presidente del Comitato Brand Milano) Citytelling – Raccontare le identità urbane. Il caso Milano, edito da EGEA con la prefazione di Gianluca Vago, rettore dell’Università degli Studi di Milano e coordinatore dei rettori della rete universitaria milanese e lombarda. Libro che ha avuto il 17 dicembre una presentazione in anteprima alla Triennale di Milano e che sarà oggetto di presentazioni e dibattiti in varie città italiane nei prossimi mesi. Il Brand pubblico è una delle nuove frontiere della comunicazione pubblica che ripone, in maniera sostanziale il tema della strategia nell'identificazione dei progetti di comunicazione per i territori.
A partire dal 19 gennaio, è in distribuzione nel circuito delle librerie italiane il nuovo libro di Stefano Rolando (professore di Teoria e tecniche della comunicazione all’Università Iulm e presidente del Comitato Brand Milano) Citytelling – Raccontare le identità urbane. Il caso Milano, edito da EGEA con la prefazione di Gianluca Vago, rettore dell’Università degli Studi di Milano e coordinatore dei rettori della rete universitaria milanese e lombarda. Libro che ha avuto il 17 dicembre una presentazione in anteprima alla Triennale di Milano e che sarà oggetto di presentazioni e dibattiti in varie città italiane nei prossimi mesi. Il Brand pubblico è una delle nuove frontiere della comunicazione pubblica che ripone, in maniera sostanziale il tema della strategia nell'identificazione dei progetti di comunicazione per i territori.
Quale è il radicamento disciplinare della materia
proposto in questo nuovo testo?
In verità è un percorso in terra di frontiera.
Senza la storia, l’economia, le scienze sociali (antropologia in testa), le
scienze urbane, le scienze politiche insieme ad un approccio integrato
all’interpretazione dell’evoluzione culturale, non si afferra la complessità identitaria
di un territorio. Che è la materia in cui si colloca l’approccio qui esposto.
Ma lo specifico è poi contenuto in un ambito che va sotto il nome di comunicazione narrativa. Che nelle
strategie comunicative pubbliche è fortemente connesso ad una merce rara ma
indispensabile, che potremmo chiamare la governance
della visione. Da qui le correlate della materia, tra cui il marketing
territoriale che erroneamente viene considerato una premessa, mentre secondo me
è parte di rilevanti conseguenze.
Quindi, per riassumere, l’approccio al branding
pubblico può essere considerato una parte evolutiva della comunicazione
pubblica?
Per riassumere, direi certamente di sì.
Cosa implica tutto questo, nel percorso di formazione dei
comunicatori pubblici?
Direi che non lo modifica ma: “riconduce”. Riconduce, cioè,
alle componenti strategiche della disciplina. Sottraendo la materia al
tran-tran in cui molta esperienza pratica l’ha ridotta. Se si limita la materia
a dare visibilità (che poi finisce
con il promuovere più le persone che i problemi) è chiaro che tutta questa
strumentazione serve a poco. Ma se – per gestire la condivisione collettiva dei
cambiamenti – ci si preoccupa di verificare anche l’evoluzione dei processi
identitari, di cogliere il senso del patrimonio simbolico collettivo connesso
(in parte caduco, in parte vitale, in parte trasformato), di trovare i modi di
incentivare il dibattito pubblico al riguardo e infine di dar forma ai tanti
modi di narrare quel patrimonio, ecco che si coglie la novità. Potremmo dire
che la maggiore novità è riportare la comunicazione pubblica a occuparsi di processi (storia e cambiamento) e non
solo di prodotti (norme e regole).
Ma la parola brand ha un suo invalso: cioè stringere
la questione ad un segno rappresentativo. In questo libro non si dà grande peso
a questo aspetto?
Innanzi tutto non è vero che non si dà peso a
questo aspetto. Anzi – sia nel testo che nella documentazione che il lettore
troverà gratuitamente in rete utilizzando il codice di accesso stampato in fondo
al libro – si vedrà che il patrimonio iconico che sintetizza la
“rappresentazione simbolica” ha il suo peso e il suo ruolo. Dico solo che –
come per le aziende anche per i territori – la materia richiede importanti
correlati.
Puoi fare degli esempi, trattati nel libro?
Dedico la prima metà del libro alle questioni
generali del branding pubblico. E la seconda metà a raccontare il caso Milano,
che è un cantiere aperto a fronte di tante cose che a partire da questo 2015
segnalano forti cambiamenti. Proprio
pensando a Milano e alle trasformazioni della narrazione della città dal
precedente Expo (1906) a quello che si apre nel maggio del 2015 si può vedere
che i segni del brand design sono solo la risultante di un conflitto, spesso
molto duro, tra le determinazioni di classi dirigenti e dello stesso popolo
rispetto al disegno meno razionale della storia che si abbatte, nel bene e nel
male, su una città cambiando molto spesso la direzione di marcia (nel caso di
Milano almeno dieci volte nel secolo preso in considerazione).
La prefazione del prof. Vago segnala la forte
implicazione dell’internazionalizzazione rispetto al tema.
Certamente, nel caso Milano è evidente che il
carattere finora un po’ separato dei due processi identitari che hanno
caratterizzato l’evoluzione del ‘900 – quello localistico e quello globalizzato
– sono destinati a una fusione, in senso appunto glocale, con mutue conseguenze. E questo è il prodotto di quella
visione competitiva che anche l’avvio del cantiere di costruzione della città
metropolitana segnala. Il biglietto da visita della città che passa da borgo di
poco più di un milione di abitanti al carattere (già assunto da molte città nel
mondo) di metropoli (per Milano sfiorando i 5 milioni di abitanti).
Cosa significa un brand glocale?
Nel caso della prefazione del prof. Vago (che
guarda alla complessità delle competenze della rete universitaria milanese)
vorrei aggiungere il senso del significato multidisciplinare dell’approccio,
che è quello adottato da tutte le grandi (e non solo grandi, ma anche innovative)
città che hanno messo mano alla rigenerazione della loro narrativa. E poi
vorrei fare riferimento al colloquio – che separa le due parti del libro – con
Piero Bassetti, nel corso del quale le riflessioni hanno i piedi ben piantati
nella tradizione, ma lo sguardo è verso il modo di stare allineati (anche
interpretando correttamente il grande messaggio di contenuto di Expo) alle
sfide planetarie.