sabato 25 febbraio 2012

Il 27 febbraio seminario al MASPI IULM su emergenza Rai



Si riscalda il clima sulla Rai. Il via alla corsa è venuto come è noto dal premier Monti. E la Rai, metafora del rapporto tra partiti e società in Italia, sta aprendo una discussione destinata forse a sovrastare per contenuti e conseguenze quella sull’articolo 18. Ovvero a definirsi proprio a seguito del carattere politico che prenderà il dibattito sulla riforma del lavoro. Il programma di controcanto che Michele Santoro ha intitolato, appunto, Servizio Pubblico è andato in onda il 23 febbraio proprio sul “servizio pubblico” radiotelevisivo, sollecitando chiarimenti dall’interno del sistema professionale (autonomie, palinsesti, produzione, costi, eccetera) che normalmente sono marignali nel modo con cui i partiti politici trattano la questione: nomine, equilibri, rappresentanza.
Sempre il 23 febbraio un articolo di Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera ha posto la questione di fondo: non basterà cambiare il nome al direttore generale chiamandolo amministratore delegato, il nodo è fronteggiare uno scenario economico e organizzativo difficile aumentando la produzione e diminuendo la burocrazia. Il nodo, i nsomma, è quello della politica industriale della Rai.
Lunedì 27 febbraio è una giornata che prosegue a offrire rappresentazioni che riguardano i due teatri della discussione. A Roma il PD convoca una conferenza centrata sul tema dell’innovazione. I giornalisti erano attratti dalla presenza del segretario del PD e dal direttore generale della Rai, immaginando il rialzo di temperatura in una vicenda finora tenuta in circospezione. Alla fine niente Bersani, niente Lei. E l’innovazione tecnologica scende di appealing.
Interesse invece per un laboratorio accademico - professionale. Nel polo opposto alla politica romana, quello della Milano che respira l’austerità piuttosto indipendente del suo nuovo sindaco e in cui la Rai non è mai stata azienda ben sintonizzata. Si tratta del laboratorio di Politiche pubbliche per le comunicazioni, corso condotto (alla facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università IULM) per ruolo da Stefano Rolando che è un accademico un po' particolare per aver fatto una lunga carriera nelle comunicazioni. Proprio alla Rai, dove si è formato come dirigente accanto a due presidenti come Paolo Grassi e Sergio Zavoli. Poi direttore generale dell’Istituto Luce, negli anni in cui andava ricostruita l’azienda. E poi per dieci anni direttore generale dell’informazione e l’editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (tuttora è membro del Consiglio superiore delle comunicazioni, organo ministeriale). Con lui un dirigente storico della Rai, Luigi Mattucci, ingegnere,  tra i protagonisti della riforma del ’75, tra i costruttori  di Raidue, per trent’anni nel management della azienda fino ad essere vicedirettore generale Rai e poi presidente di Raisat.
Il laboratorio e' avviato con gli studenti in pre-laurea di Politiche pubbliche per le comunicazioni (in un corso in cui hanno negli anni scorsi portato testimonianze i ministri pro-tempore Paolo Romani e Paolo Gentiloni e un costituzionalista del livello di Enzo Cheli) e quelli in specializzazione del Master in Comunicazione pubblica. 
Il tema è  quello della simulazione di ruolo del direttore generale della Rai rispetto a  ciò che oggi – per incarico e direttiva dell’azionista, cioè il governo – dovrebbe fare il management per rimettere in carreggiata l’azienda e renderla così pienamente ricettiva di una riforma che, in quanto tale, spetta al Parlamento e probabilmente ad un Parlamento in una rigenerata pienezza rappresentativa.
Dunque simulazione manageriale rispetto alla gestione economica e degli introiti, rispetto al rovesciamento del rapporto tra produzione interna e appalti, rispetto alle linee editoriali di TG e Reti, rispetto all’uso delle infrastrutture, rispetto alla gestione delle risorse professionali, rispetto al rapporto con l’integrazione tecnologica.
Un laboratorio che ha consentito di scrivere un articolato  documento di riferimento.  Poi la giornata di discussione e infine la prossima stesura di una memoria di caso.
Per vedere cosa dice il documento, questo il link


domenica 5 febbraio 2012

Basta Provinicie

Pubblico sul mio blog la risposta ad un articolo apparso sull'ultimo numero di Arcipelago Milano in tema di abolizione, o ristrutturazione, delle Provincie.


L'abolizione delle Provincie, passata ormai in giudicato nella percezione dell'opinione pubblica che le ritiene pezzi da museo, o un profondo ripensamento delle loro funzioni, è il primo passo da affrontare, con la maggior celerità possibile, per un efficace intervento sull'organizzazione degli Enti Locali.
Fatto salvo il problema del personale e dei suoi costi a carico della collettività, che non potrebbero essere recuperati - almeno in termini di efficienza -  trasferendo i dipendenti provinciali ad altro Ente, resta aperta, prepotente e imbarazzante, la questione delle competenze.
Le Provincie esercitano il loro presidio amministrativo, gestionale e di controllo su una serie di tematiche e funzioni non esclusive ma che, al contrario, sono le briciole, i rimasugli, i resti, di quello che rimane sul tavolo della spartizione dopo il passaggio di Comuni, Regioni e Stato.
Ecco alcuni esempi. Gli edifici scolastici degli Istituti Superiori sono di pertinenza provinciale. Solo quelli però, mentre sono demandate ai Comuni le cure, le manutenzioni e la gestione degli immobili delle Scuole Primarie. Nelle Politiche Sociali la prestazione di servizi alle persone con disabilità sensoriali (i non vedenti e non udenti) sono a carico degli Assessorati Provinciali diversamente da quelle fornite ai disabili motori o intellettivi, anche in questo caso di competenza comunale. Nel settore delle politiche ambientali il controllo e la direzione dei Parchi di Interesse Sovracomunale e affidata alla Provincia, mentre il resto della gestione della aree verdi è di pertinenza della Regione. 
Insomma quello che manca realmente è un coordinamento organico che superi la duplicazione di funzioni, di uffici, di burocrazia e di decisori. E’ difficile pensare che in un territorio come l’area metropolitana di Milano le politiche per la disabilità siano di competenze della Regione per quanto concerne le prestazioni sanitarie, della Provincia per le disabilità sensoriali e del Comune per le disabilità intellettive e motorie. Non sarebbe meglio, più produttivo  più efficiente, decidere che un solo ente pubblico (Il Comune?) coordini e organizzi questi servizi. Una delle priorità nella riforma della Pubblica Amministrazione, tanto richiesta ma lontana dall’essere anche solo progettata (nemmeno il Governo Monti ne parla!) e l’abolizione della trasversalità, della duplicazione di funzioni e competenze, della riproduzione come in una fotocopia di soggetti decisori. Quanto tempo si perde, e lo sanno bene gli Amministratori locali, per dipanare il dedalo di un processo autorizzativo per colpa dei continui rimandi fra Enti, del passaggio ad uffici diversi, dell’attesa di pareri, a volte in contraddizione fra loro (ad esempio in termini di bonifiche ambientali).
Ecco perché le Provincie non sono più giustificabili o almeno non lo sono con l’attuale forma amorfa. Per tenerle in vita e per legittimare Consigli e Giunte, sono state sbriciolate le competenze, rendendo ancora più caotica la Pubblica Amministrazione e disordinato il suo rapporto con i cittadini e fra gli Enti.
L’abolizione non è l’unica soluzione. Ragionando su macro aree – le famose Città Metropolitane nel caso della grandi aree urbane ma anche sulle zone contigue di interesse (bresciano, veronese e trentino per il Lago di Garda, o le zone montane) – è possibile intervenire con l’istituzione di Enti sovracomunali ai quali vanno assegnati compiti esclusivi (in materia di promozione turistica e di branding, di gestione di servizi integrati, di prestazioni sociali esclusive) che rendano chiaro e non affastellato il quadro delle competenze pubbliche per dare un vero servizio e non perdersi nei rivoli dell’inutile burocrazia.