giovedì 29 dicembre 2011

Le parole pesano

Pubblico sul blog un articolo a mia firma pubblicato nell'ultimo numero della rivista Welfare Oggi sul tema dei "falsi invalidi" con alcune considerazioni riguardo le modalità con cui l'operazione del Governo Berlusconi venne comunicata a suo tempo e sulle implicazioni che tali attività hanno sulla costruzione di un'opinione diffusa.
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Le parole pesano
Di Maurizio Trezzi

Nel mondo della ricerca sulla comunicazione è ormai consolidata la convinzione di come attraverso i processi comunicativi sia possibile generare, accrescere e alimentare processi sociali. In diversi studi e ricerche si evince come i meccanismi di comunicazione, i processi che li sovraintendono e gli effetti che producono, portano alla costruzione di fenomeni di conoscenza diffusa[2].
Si tratta delle cosiddette rappresentazioni sociali offerte dai media - e in particolare dalla televisione – che al termine di processi comunicativi complessi forniscono una lettura della realtà sulla quale esercitano, di fatto, la loro influenza andando a orientare la costruzione della conoscenza[3].
E’ pertanto evidente che la comunicazione riveste un carattere d’essenzialità nella costituzione e nel mantenimento della società perché ha un ruolo determinante nell’influenzare immagini, valori e percezioni. E’ altrettanto chiaro come, in diverse occasioni, sia possibile cercare di utilizzare, in maniera strumentale, i mezzi di comunicazione per influenzare e incidere sulle percezioni diffuse dei cittadini, sulle loro credenze e atteggiamenti per poter creare condizioni favorevoli alla ricerca del consenso e di indirizzo politico.

I “falsi invalidi”
La vicenda della cosiddetta “lotta ai falsi invalidi”, scatenata dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti nella primavera del 2010, ne è un esempio paradigmatico.
In questo caso, scaturito dalle affermazioni del Ministro durante una conferenza stampa nel maggio del 2010 di presentazione della legge di Formazione del Bilancio e oggetto di un meditato e sapientemente orchestrato piano di comunicazione, occorre considerare la relazione tra il processo di costruzione del consenso sull’argomento e le modalità con il quale questo è stato escogitato, costruito e realizzato.
In quei giorni, all’interno di una crisi economico-finanziaria che discendeva dai crack degli Istituti di Credito statunitensi e che si sarebbe riverberata, come raccontano le cronache degli ultimi mesi, nella crisi dei debiti sovrani di mezza Europa, il Governo italiano presentava una manovra finanziaria per raddrizzare il timone di una barca indirizzata in maniera preoccupante verso la deriva. Giulio Tremonti, con un sillogismo solo apparentemente spericolato, decise di proporre agli italiani l’equazione: debiti e crisi, sprechi e tagli, falsi invalidi.
La soluzione ai problemi stava tutta li, secondo le parole del Ministro: nella lotta a quelle persone che in maniera fraudolenta e illegale vivevano; “alle spalle dello Stato” spacciandosi per disabili. Non è certamente compito di questa breve riflessione addentrarsi sulle questioni numerico-contabili di queste affermazioni (la portata dei provvedimenti rispetto all’enormità del debito) e nemmeno sulle basi legislative e normative che sovraintendono alla materia. E’ invece interessante riflettere sulle modalità e sulle implicazioni comunicative e di costruzione della percezione che l’opinione pubblica ha della disabilità – e quindi della invalidità certificata attraverso apposite verifiche – che le dichiarazioni di Tremonti, e non solo le sue, hanno prodotto.

La comunicazione della disabilità
Solo brevemente è utile inquadrare la questione in termini comunicativi. L’Italia è un Paese che conosce poco e male la disabilità. Una nazione nella quale le persone disabili, ancora in quasi tutti i documenti e le norme prodotte dalla Pubblica Amministrazione sono definite: “handicappati o portatori di handicap” termini che sottintendono incapacità, diversità, limite, non abilità. Un Paese dove, a parte qualche recentissimo esempio, la pubblicità, le fiction, i talk show, ignorano l’esistenza in vita di persone disabili[4], non le rappresentano, le raccontano poco e male (in maniera pietistica o esaltandone doti da supereroe)[5] perché queste non fanno parte dell’immaginifico comune. Se girando un sabato pomeriggio qualunque in una grande città italiana del Nord, e ancora più del Sud, non si incontrano persone disabili (per i più svariati motivi ad esempio perché i mezzi pubblici sono poco o per nulla accessibili o le barriere architettoniche sono ancora un limite oggettivo) per quale motivo il mondo della comunicazione e dell’informazione dovrebbe occuparsi di questa parte dell’universo-mondo?
In questo contesto si devono inquadrare le parole del Ministro Tremonti, del Presidente del Consiglio Berlusconi e dei titoli di giornali e telegiornali vicini alle posizioni del Governo. Un tam tam mediatico, reso possibile dalla straordinaria forza di fuoco giornalistica a disposizione dell’esecutivo, contro l’esercito dei falsi invalidi che avrebbero depredato, con le loro false certificazioni, le finanze pubbliche. Un piano di comunicazione, per ottenere un imprimatur e una condivisione popolare su provvedimenti diversi e più ampi da quelli che venivano realmente comunicati, con l’obiettivo reale di limitare e diminuire le spese sociali per le persone disabili.
Il progetto, culminato con la copertina di Panorama del marzo 2011 con Pinocchio in carrozzina (metafora del falso invalido bugiardo e imbroglione) era infatti, con palese evidenza, orientato a generare un effetto di sollevazione popolare nei confronti degli invalidi imbroglioni (“il non vedente trovato al volante della sua auto”) che potesse sostenere i tagli e le limitazioni in termini di servizi, contributi assistenziali e indennità che il Ministro e il suo Governo avevano intenzione di praticare.
Quello che interessa però qui sottolineare è come tale progetto poggiasse le sue radici dentro la più stereotipata visione di rappresentazione della disabilità, purtroppo abilmente utilizzata per fini propagandistici. Una concezione estremamente medicale, percepita come una malattia non come una condizione, quindi bisognosa di cure (non di ausili e di progetti di vita indipendente), e assistenza, vissuta come un costo e non come una possibile risorsa. Ed è all’interno di questa concezione, tutt’altro vicina dall’essere superata, che le posizioni del Ministro potevano avere speranza di essere recepite, metabolizzate e quindi assimilate da parte dei cittadini, come posizioni condivisibili.
In termini di rappresentazione sociale, i vocaboli usati dal Ministro, i titoli dei giornali, le riprese del Presidente del Consiglio, hanno fatto compiere non uno ma dieci passi indietro a quel processo di lenta e difficile costruzione di una rappresentazione della disabilità al passo con l’evoluzione di un concetto diffuso, basato sui diritti, sulla condizione e sulle abilità delle persone disabili. Il danno provocato da quelle parole, che restano nella mente dei cittadini ancora più dei provvedimenti annunciati sui quali poi fu fatta marcia indietro, risiede nella consapevolezza di come le credenze e le convinzioni che le persone hanno sulla disabilità dipendono non tanto da come il fenomeno si presenta nella realtà, ma piuttosto dal modo in cui la rappresentazione di tale realtà viene veicolata dai mezzi di comunicazione. In condizioni di non elevata conoscenza, quello che accade ai cittadini che non sono direttamente coinvolti nella questione disabilità è servirsi delle informazioni più facilmente disponibili, di quelle che arrivano prima al sistema cognitivo per costruirsi un’opinione[6].


Conclusioni
Il martellamento di quei giorni, le parole, il sarcasmo, gli attacchi dei giornali, i servizi televisivi, hanno certamente dato in pasto all’opinione pubblica informazioni sulla base delle quali essa ha potuto costruire la sua rappresentazione sociale della disabilità assimilandola a concetti come frode, furbizia, evasione fiscale, truffa, disonestà. Un processo pericoloso e dagli effetti assai più negativi rispetto a quelli che avrebbero sortito gli stessi provvedimenti annunciati e, come detto, poi in larga parte non attuati. Il “peso” della comunicazione e il valore che essa riveste nella società moderna è quindi molto più alto di quello che si è propensi a considerare e i risultati di processi comunicativi reiterati e strumentalmente manipolati portano a conclusioni poi difficili da scardinare e modificare per ridare un senso al concetto di “verità” diffusa e condivisa.
E quello dei falsi invalidi è solo uno dei casi del genere messo in scena in Italia negli ultimi anni. Basti pensare alla lunghissima serie di dichiarazioni, alimentate in particolare da alcune forze politiche, che negli anni si sono succedute sul tema della lotta all’immigrazione clandestina che creavano un rapporto di causa ed effetto fra la crescita del numero di stranieri extracomunitari presenti in Italia e i reati commessi come rapine, omicidi e violenze. Cifre smentite, sempre nel corso degli anni, da rapporti Istat, da dati delle Procure della Repubblica e dei Tribunali dai quali, al contrario, si evince una diminuzione, ad esempio, del numero di omicidi i cui trend si sono mossi in maniera inversamente proporzionale alla crescita di immigrati nel Paese. Eppure, nell’opinione pubblica, la percezione di mancanza di sicurezza e aumento del rischio personale legato alla presenza di cittadini stranieri è cresciuta. Come nel caso dei “falsi invalidi” questi processi sono tanto semplici da innescare quanto difficili da ridimensionare e portano con sé una serie di questioni morali, deontologiche, civiche e di responsabilità sulle quali un’attenta analisi e un aumento di consapevolezza da parte dei cittadini potrebbe condurre a scelte e decisioni popolari che - attraverso il consenso e le scelte consapevoli – siano in grado di  penalizzarle e isolarle definitivamente.


[2] W.Ware, M.Dupagne, “Effect of Us Television programs on foreign audience” Journalism Quarterly. 1994
[3] A. Contarello. B.M Mazzara, Le dimensioni sociali dei processi psicologici. 2002

[4] V. Russo, M. Trezzi: Comunicare la disabilità 2010
[5] A tal proposito sono emblematici nel primo caso la vicenda di Francesco Nuti invitato alla trasmissione “Stasera che Sera” di Barbara d’Urso, poi cancellata anche per le proteste seguite all’intervista all’ex attore e nel secondo i servizi sull’atleta Oscar Pistorius rappresentato come l’uomo bionico.
[6] R.E Petty, J.T Cacioppo: Journal of Marketing research (1983)

venerdì 28 ottobre 2011

Un sindaco “sorprendente”. Dalle radici di famiglia a Palazzo Marino

In libreria, con Bompiani, il libro-colloquio di Giuliano Pisapia con Stefano Rolando: "Due arcobaleni nel cielo di Milano, (e altre storie). Ne ho parlato con l'autore.

Domande a Stefano Rolando a cura di Maurizio Trezzi

In libreria dal 19 ottobre Due arcobaleni nel cielo di Milano (e altre storie), libro colloquio di Giuliano Pisapia con Stefano Rolando, con la prefazione del direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, edito nella collana Grandi PasSaggi di Bompiani.
Un libro a sorpresa, generato da tre lunghe conversazioni nelle domeniche di luglio, dopo i primi  mesi di governo a Palazzo Marino del nuovo sindaco di Milano, con l’intento di raccontare una storia dall’inizio: radici, evoluzione personale e politica, esperienze istituzionali, i tratti essenziali della campagna elettorale e lo sguardo a Milano e alla prospettiva che, nel primo impatto, è già oggetto di analisi politica.
Dunque un libro di perché, di spiegazioni, di approfondimenti. Quattrocento domande e altrettante risposte, tra un protagonista del cambiamento e un professore universitario esperto di comunicazione pubblica e politica che, con distacco ma come dice anche “con simpatia e senza militanza”, contribuisce a rendere più conosciuta la personalità di chi, per la stampa di tutto il mondo, è l’uomo che ha dimezzato a Milano le preferenze di Berlusconi e ha battuto con dieci punti di distacco il centro-destra.
Sulle ragioni del libro e sul backstage di questa esperienza abbiamo rivolto a Stefano Rolando, professore all’università IULM di Milano e già direttore generale in istituzioni e imprese,  alcune domande.

A chi è venuta l’idea?
Abbiamo complottato io e la moglie di Giuliano Pisapia, Cinzia Sasso. Lei mi ha detto che lui nel corso dell’estate – o comunque presto –  avrebbe messo mano a un testo per spiegare alcuni tratti della “buona politica” necessaria ora a Milano e al paese. Io ho suggerito che prima sarebbe stato prezioso un libro accessibile e chiaro per approfondire la conoscenza personale della sua vita e della sua evoluzione politica, facendo emergere anche l’apprendimento di una singolare e straordinaria campagna elettorale.

“Complottato” vuol dire che Pisapia ha resistito…
Sì, ha resistito. Resiste di principio alla politica che appare. La sua storia è una storia del fare sociale. La sua polemica è con i politici che fanno credere che un annuncio sia una realtà realizzata. Ma siccome ha fatto il liceo classico e ha preso due lauree,  alla fine sa a cosa servono i libri.

Politicamente lui come si considera?
Il suo riferimento è alla attuale condizione di sindaco di Milano. Dice “un sindaco di sinistra con una giunta di centro-sinistra”. Che tradotto vuol dire che ritiene meglio la coerenza con la sua vita, perché essa ha dimostrato che non è vera la tesi molto diffusa (io dico nel libro “post-democristiana”) che per vincere nei contesti importanti bisogna schiacciarsi al centro, spesa però per unire e non per dividere. Che è una solenne novità per la politica a sinistra.

Ma Pisapia  come vede -  provo a riformulare la domanda -  la sua identità politica, lui fuori dai partiti, quando bordate arrivano da destra perché non saranno molto contenti di avere perso Milano, ma arrivano anche da sinistra dove c’è più abitudine a gridare che a governare. E in più con il PD aggravato dal caso Penati?
E’ uno scenario in movimento. La sua è stata una proposta di coalizione senza pregiudiziali. Né a sinistra né al centro (tanto è vero che , oltre all’adesione di Bruno Tabacci, al ballottaggio si sono manifestati laici, repubblicani, liberali, socialisti, cattolici moderati). In più ha cercato di sperimentare un formula “metà partiti, metà società civile impegnata nella cosa pubblica”. Dunque ora essere fuori dai partiti è una forza. Perché non vuol dire affatto – a Milano in particolare – essere fuori dalla politica. Quanto al PD, che a Milano anche grazie a lui ha avuto un ottimo risultato, avrebbe tutto l’interesse a far crescere nuova classe dirigente nella cornice della leadership di territorio che Pisapia ha oggi oggettivamente.

Va bene. Questa parte la leggeremo. Ma stando ai giudizi di chi ha sperimentato questo ampio dialogo, come appare oggi Giuliano Pisapia dopo l’imprevisto successo?
Provato dall’impatto con l’impegno duro dell’agenda, determinato a mettere avanti le questioni di principio, apparentemente lento e macinatore ma poi capace di soluzioni veloci e nette, avvocato sperimentato a guardare le carte e quindi non impressionato dalla burocrazia, non nelle condizioni di agire con tutti gli strumenti necessari per assicurare gestione e visione. Quindi in fase di intervento da una parte, di apprendimento dall’altra.

Cosa colpisce di più del suo racconto di vita?
Tre cose. Il ruolo della formazione cattolica nell’esperienza giovanile, la determinazione – anche solitaria – nell’apprendimento sociale, la scoperta (nel tempo e nel segno della formazione paterna) di un ruolo metodologico di essere operatore del diritto.

Cosa vuole dire “metodologica”?
Vuol dire intanto che di giustizia se ne intende. Oggi è una risorsa culturale per fare politica rilevante come quella economica, perché la giustizia è di per sé la politica. E poi vuol, dire che – da avvocato e non da magistrato – pone centralmente il tema dei diritti individuali e collettivi.

Come reagisce all’impatto attuale con la realtà?
Forse per un po’ si troverà più applausi dai settori moderati che da quelli della sua provenienza. I primi gli riconoscono l’estrazione borghese, il buon senso, l’agire disinteressato e con fini di giustizia. I secondi temono l’inciucio ogni volta che parla – anche per ragioni istituzionali – con qualcuno “dell’altra parte”. Poi a poco a poco si formerà un consenso non emotivo, come è quello delle elezioni, e quindi un baricentro politico, che probabilmente sarà di segno nuovo.

Nuovo?
Piero Bassetti – che lo ha molto sostenuto nelle elezioni – dice che lui è uno dei pochi a guardare davvero alla terza repubblica, cioè a modi di intendere e fare la politica nuovi.

A libro finito, il  professore e il sindaco concordano su tutto?
Ci sono punti del libro in cui la mia esperienza è un’altra e i miei giudizi di valori sono distinti. La trasparenza del dialogo lascia intravedere che per arrivare alla sintesi che Pisapia ha espresso era necessario accostare tante soggettività. Il mio accordo è nella spinta post-ideologica che non è affatto post-politica. Anzi è risolutamente contro l’anti-politica. I miei punti di domanda sono costruttivi: sulla strumentazione di governo per non restare prigioniero dell’hic et nunc; sulla sintonia che il centro-sinistra italiano vorrà avere con questa “linea arancione”; sulla modalità concreta di portare avanti il modello “metà partiti-metà società”.

Mentre il Corriere della Sera mantiene una linea ondeggiante sulla giunta Pisapia, la prefazione di Ferruccio de Bortoli ha toni molto equilibrati e sostanzialmente  elogiativi…
E’ la prefazione del direttore del Corriere. Liquida il passato con giudizi netti e apprezza il cambiamento. Prende alcune distanze da punti della formazione politica e mette il punto di domanda sui futuri esiti della buona amministrazione. Di mezzo esprime la migliore considerazione intellettuale, morale e civica nei confronti di Giuliano Pisapia. In questa fase della politica italiana considero ciò molto.
Qualche altra domanda sul libro “confezionato”. Formato piccolo ma denso, leggibile, una ventina di foto. Che “racconto” fanno queste foto?
Senza Cinzia quelle foto non ci sarebbero, per lo più. Ma lui non ha il culto della sua memoria. Quindi pochissime foto. Il racconto – se così si può dire – è  di percorso. Tre foto di viaggio – che per Giuliano Pisapia è cosa emblematica, è esperienza, anche solitaria – incastrate nel Sommario, per segnalare appunto il rilievo simbolico del “viaggio”. Poi miracolose foto dell’infanzia, che ricostruiscono con pochi tratti un’epoca e una società. Fasi salienti dei processi. Padre e madre. Brandelli di una esperienza politica evidentemente schiva. L’esplosione della campagna elettorale e le prime foto da sindaco.

Della campagna elettorale niente foto sulle nefandezze di Pisapia. Con la Moratti niente foto dello scontro a Sky. Scelte?
Questo libro racconta anche di coerenze di stile. Ho ritenuto di interpretare quello stile riportando a sobrietà ciò che, per la verità, i suoi avversari politici avevano trasformato in rissi. E per l’onore di Milano – che è anche la mia città – di lui e la Moratti solo la composta ed elegante foto del passaggio di consegne.

Fin qui le recensioni hanno colto solo le risposte trasgressive sulla “legge bavaglio”. E’ vero che sui media passa solo l’uomo che morde il cane?
Beh, le prime recensioni (Corriere, Giorno, Libero) hanno preso una parte di una riflessione (di due pagine)  di critica alla pubblicazione delle intercettazioni prima delle sentenze è hanno stressato il concetto in “bene la legge bavaglio”. Il Corriere ha pubblicato subito una robusta correzione di tiro. Pisapia dice anche che la quella legge, per come è stata fatta, è una schifezza. Bisogna dire che questo lungo dialogo non è fatto per costruire ad arte notizie. La “notizia”è il perché un percorso di vita di quel genere genera, nell’Italia di oggi, un grande consenso elettorale. Ma, come si sa, i media capiscono di notizie ma non di “processi”.

Per quale pubblico essenzialmente?
Sempre difficile rispondere a domande così quando un libro finisce in libreria, per un po’ – almeno fino a Natale – diciamo in bella vista per tutti. Pisapia è il sindaco di Milano. Una novità. Di fatto è popolare ma ancora piuttosto sconosciuto. Certo i milanesi, indistintamente, sono tutti potenziali lettori. Ma chi lo ha seguito con vera partecipazione nella campagna ritroverà anche emozioni insperate. A loro è dedicato il titolo del libro (che il direttore del Corriere, pur in una serena prefazione, ha considerato un po’ enfatico). Ma quei due arcobaleni hanno cerchiato magicamente una serata civilmente importante. E poi ci sono gli italiani che sentono il ruolo di Milano nella inevitabile transizione  che, per il paese, si è accelerata. Non so se Giuliano Pisapia si spenderà da protagonista in quella transizione. Ma è certo che la sua vicenda e il suo ruolo di sindaco di Milano la influenzeranno oggettivamente. Penso che sia bene che gli italiani lo conoscano meglio.

Che ruolo ha avuto Giuliano Pisapia nella rilettura del colloquio?
Quella di una persona pressata dal tempo ma molto attenta a recuperare ove possibile il suo specifico linguaggio e a soppesare l’utilità della presenza di citazioni, digressioni, esempi. Ha tolto un po’, quasi sempre migliorando la leggibilità.

Che ruolo ha avuto Stefano Rolando nella costruzione del percorso narrativo?
Ho avuto ampia libertà di porre domande e di gestire la sequenza. Per l’abitudine a questo genere di libri – che non considero “da fare al volo” ma risultato di un profilo di analisi piuttosto meditato – trecento domande erano predisposte nei dettagli. Altre cento sono state improvvisate come spunti emersi dalla conversazione. L’obiettivo era infatti quello di mescolare ricerca e scintille. Spero che appaia così anche ai lettori.

Meriti da ricordare?
Ho ringraziato in fondo all’introduzione Cinzia in forma “monumentale”. Poi chi ha favorito il materiale fotografico. Fulvio Ronchi che è stato molto vicino alle fasi di lavorazione. Ma devo aggiungere anche chi ha dato un contributo di lettura prima della consegna con spirito di sostegno non inferiore ad un utilissimo spirito critico: Carla e Piero Bassetti, Renata Thiele, Patrizia Galeazzo, Franco d’Alfonso, mio fratello Maurizio.

domenica 22 maggio 2011

L’erba del vicino….

Il clima milanese, nel weekend si è fatto ancora più torrido. E non solo per i 30 gradi superati per diverse ore del giorno - prime avvisaglie di un’estate da condizionatore - ma soprattutto perché il countdown verso il ballottaggio delle amministrative sta velocemente esaurendosi. Di questo clima hanno risentito anche le menti di alcuni facinorosi “ultras” della politica che di sabato si sono dati appuntamento in alcuni mercati della città, luoghi principi deputati alla caccia del consenso per creare il contatto diretto con l’elettore, e li hanno sfoderato il meglio di se. Fra cavoli, zucchine e lattuga – peccato mancassero i carciofi, ormai fuori stagione, utile dardo contro gli avversari politici, i neo paladini dell’integrità di Milano hanno affinato la loro dialettica oxfordiana e, uno per uno, hanno cercato di indottrinare i cittadini/elettori sulle nefandezze del prossimo, possibile, governo della “sinistra”. Evocando rom (non i cd, la campagna elettorale non si fa da Mediaworld), zingari, sinti, indù, mussulmani, ecopass, parcheggi blu, gialli e rossi, tasse, ici, irpef e l’aumento del costo del cappuccino al bar, hanno snocciolato tutto quello che di incredibilmente negativo Giuliano Pisapia e la sua banda potranno combinare in caso di salita al soglio di Palazzo Marino. Ovviamente a qualcuno la cosa non è piaciuta. E chi avrebbe preferito continuare serenamente a scegliersi i pomodori per la amatriciana, invece di ascoltare comizi fra i banchi, ha innescato diverbi, discussioni, battibecchi e qualche accenno di rissa. Esattamente ciò di cui i nuovo maghi della campagna elettorale di Letizia Moratti avevano bisogno. Il disegno è chiaro, provocare i rivali per ottenere reazioni scomposte. Dal punto di vista della campagna di comunicazione è questa la nuova strategia del centro destra, assai scontata e prevedibile. Se il tuo candidato perde oltre 10 punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti, dopo aver ascoltato la solita litania nei giorni seguenti il primo turno:”Non abbiamo saputo comunicare quello che di buono è stato fatto” cosa fai? Lo fai sparire. Quindi via la sua faccia, per altro ben immortalata, dai manifesti che tappezzano la città e sotto con lo stile Lega Nord (uno dei partiti che comunica meglio da oltre 20 anni, ovviamente sotto il profilo della tecnica. Sui contenuti…) del messaggio sparato a caratteri cubitali come per le vendite straordinarie dei negozi di corso Buenos Aires. Messaggi e slogan non dicono quello che il centrodestra ha fatto o vuole fare nei prossimi 5 anni di governo a Milano ma si concentrano, proprio come gli slogan da mercato rionale, su quello che gli avversari potrebbero fare in caso di successo. Percorso tortuoso dal punto di vista della comunicazione. E’ come se, per dire, l’Audi facesse una campagna pubblicitaria nella quale dice: “Le BMW esplodono, le Mercedes vanno fuori strada, le Alfa inquinano, quindi comprate le mia macchine”. Non si è mai visto. Ma in politica vale tutto (ormai!) e quindi via al gioco al massacro dell’avversario. Il problema è che il cittadino (elettore solo occasionalmente, sempre cittadino) con un po’ di sale in zucca due conti li fa. “Ma come – si dirà - prima mi hanno snocciolato per mesi cifre, dati e risultati straordinari dei loro successi amministrativi che in pochi hanno capito e in molti hanno ritenuto solo fumo negli occhi. E oggi, per recuperare posizioni, mi dicono cosa faranno gli altri di tanto negativo per la città. E loro?”. Giusta osservazione. La pochezza della comunicazione di questa campagna elettorale sta tutta qui. Prima si è cercato di esaltare, nella logica del superuomo nietzchiano, il lavoro della Giunta e le qualità di acchiappa preferenze del premier. Poi, visti i risultati percentuali e il dimezzamento dei consensi personali di Berlusconi, via il Sindaco dai manifesti, via il Presidente del Consiglio da Milano (non si farà più vedere) e sotto con la strategia del terrore. Dosi massicce di populismo, uso smodato e incostituzionale del servizio pubblico asservito a interessi (privati!?!?), utilizzo sfrenato della menzogna (altro che scuse in un nuovo confronto), rispetto a ipotetiche calamità cittadine fatte di orde di roulotte che invadono piazza del Duomo, pagando però 10 euro di ecopass per entrare in centro con i loro chiassosi macchinoni, muezzin che assaltano il nuovo grattacielo di Formigoni per farne il più alto minareto della città e, ribaltando la bugia più enorme mai detta dal  premier: “Più tasse, a Milano, per tutti”. Mai visto in nessun programma, mai scritto in nessun documento e comunicato stampa di Pisapia. Tutte balle. Un po’ poco, direi troppo poco, per chi pretende di poter governare una città guardando all’erba del vicino che - è noto dalla notte dei tempi - e sempre più verde della propria.

venerdì 20 maggio 2011

A Milano un nuovo modo di fare amministrazione. Ora si può.

Questa mattina, in un’affollata conferenza stampa, Giuliano Pisapia ha illustrato il profilo generale di un progetto di riordino delle competenze di governo del Comune di Milano che potrà vedere attuazione fra poche settimane. Si tratta di una matrice, basata su un sistema di governo con 12 assessorati, 4 deleghe del Sindaco e nuove funzioni per il presidente del Consiglio Comunale, che consentirà a Giuliano Pisapia e alle forze politiche della sua coalizione, di individuare, partendo dai contenuti e basandosi sulle competenze, le persone più adatte a governare, insieme al Sindaco, la città di Milano.

Ciò che occorre è dedicare maggior attenzione ai profili generali gestionali del “mestiere” di amministratore. Far sapere ora ai cittadini milanesi, agli elettori, questi schemi di governo, quindi prima del ballottaggio, significa metterle al centro del dibattito superando bugie, cattiverie e accuse sterili, il “buon governo”, per mettere in condizione i cittadini di avere un approccio serio e concreto al tema del’organizzazione.
Il progetto e la proposta sono ovviamente messe a disposizione delle forze politiche che appoggiano la candidatura di Giuliano Pisapia per un approfondimento e per un’analisi che vada più nel dettaglio rispetto però a un sistema di macrofunzioni già delineato.
Ha affiancato nella presentazione Giuliano Pisapia, il professor Stefano Rolando (Economia e gestione delle imprese nell’area del management pubblico, allo Iulm;  e già direttore generale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio regionale della Lombardia), espressione del Comitato per il 51percento animato da Piero Bassetti che è stato ambito di analisi e discussione sul rapporto tra contenuti programmatici e innovazione della gestione. 


 Tre e idee di fondo:

1.  Nessun affastellamento di funzioni per appiccicare etichette sopra persone prescelte. Viceversa, una razionale e semplice riorganizzazione degli assessorati che passano - vicesindaco  compreso - da 16 a 12, suddivisi in tre macro-aree: competenze istituzionali, competenze economiche, competenze sociali.
2.    L’idea di base è partire dai bisogni di efficienza per arrivare alle competenze, partire dalle competenze per arrivare alle persone. Non il contrario.
3.  Assessorati robusti con competenze equilibrate, accorpate con l’obiettivo di ridurre al massimo i conflitti di competenza interni. Sindaco con ruolo nelle strategie, nel coordinamento generale e nelle relazioni. Vicesindaco controller dell’attuazione del programma e sviluppo relazionale verso il Consiglio Comunale, le zone cittadine e la città metropolitana. Tre delegati del sindaco in ascolto e dialogo permanente con mondi essenziali: cittadini e diritti di partecipazione, imprese e mondo del lavoro; Chiesa diocesana e tutte le religioni praticate. Sul mondo giovanile lo stesso Sindaco eserciterà in proprio la funzione relazionale perché ritenuta prioritaria per il rilancio di politiche di  ringiovanimento della città.
Tre le aree di garanzia: il presidente del Consiglio comunale a cui farà capo anche il board scientifico delle valutazioni delle politiche pubbliche municipali; un’autorità municipale per le garanzie civiche con regolazione anche della trasparenza e del dibattito pubblico; una consulta di associazioni e soggetti significativi sul tema dell’internazionalizzazione del sistema Milano.
Si propone di crea un assessorato a termine con delega all’Expo coadiuvato da un team inter-assesorile che assicuri il miglior presidio all’evento e agli organi preposti per la gestione.
Una visione generale, che lega il futuro alla tradizione per riportare la municipalità ad essere il vanto dei milanesi: credibile all’interno, restituendo fiducia e rispetto per la professionalità dei funzionari, seria ed efficace all’esterno, come chiedono i cittadini, le imprese, le associazioni. E infine capace di assicurare a Milano il ruolo nazionale e internazionale che spetta alla città.

martedì 17 maggio 2011

Sorpresa!!!!

Diciamocelo - senza usare l’inflessione nasale del ministro La Russa - nessuno se lo aspettava. Fuori da ogni previsione, oltre ogni sondaggio, più forte delle più ottimistiche previsioni, il successo, o forse per meglio dire, la goleada, l’exploit, la prodezza di Giuliano Pisapia è stata, onestamente, una sorpresa. Con tre settimane di ritardo, dall’uovo di Pasqua delle elezioni milanesi non è uscita la violinista svedese (tale Charlotte, vista transitare ad Arcore in casa del Premier) ma una sorpresona chiamata vittoria, condita con 7 punti (sette) percentuali di margine sul Sindaco uscente. Negli ambienti della sinistra milanese, nell’entourage del Partito Democratico, negli osservatori privilegiati della borghesia illuminata mai e poi mai ci si sarebbe attesi un risultato del genere. Certo dovuto, e qui i numeri parlano chiaro, a un crollo verticale della destra e del suo candidato e a una tenuta generale della sinistra nel suo complesso (rispetto alle elezioni comunali di 5 anni fa complessivamente migliorando il risultato di poco più dell’1%) esito di grande valore in un contesto dove, fra i partiti maggiori di area centro destra, tutti perdono. Nessuno però se lo aspettava e questo è certamente il segnale più indicativo. Milano, come spesso avvenuto nel passato e per vicende non solo legate alla politica, anticipa di tempi. E il pessimismo, anche di chi scrive, circa le possibili nefaste evoluzioni di quella “Involuzione Culturale” che il, quasi, ventennio berlusconiano ha, scientemente, approntato e somministrato agli italiani insieme alla “Rivoluzione” nel mondo della politica portata dalla discesa in campo del  Cav, non è stato spazzato via ma la nebbia, possiamo dire, si è almeno un po’ diradata. Perché alla  fine fra spin doctor, consiglieri ed esperti, studiosi e sondaggisti, tutti hanno dovuto fare i conti con i cittadini. E il grande errore di Letizia Moratti, della sua Giunta, della sua squadra, del suo capolista, è aver considerato i cittadini solo degli elettori negli ultimi mesi della campagna per le amministrative, diciamo dal mese di gennaio in poi. La trasformazione, o metamorfosi per calcar la mano, in realtà non c’è. O meglio non dovrebbe esserci. Cittadini ed elettori sono sempre la stessa entità, le stesse persone e questo è stato, in un passato remoto e forse sarà in futuro, l’arma vincente, l’asso nella manica, di chi riesce a conquistare il consenso elettorale. Non puoi pretendere di conquistare gli elettori se ti dimentichi dei cittadini per 4 anni e mezzo. Zero partecipazione, zero pathos, zero condivisione, zero comunicazione, zero di zero. Poi ad un tratto, improvvisamente (come scriveva Baudelaire in Spleen) cambia tutto. Si coinvolge, si pontifica, si parla, si twitta, si stampano manifesti, brochure, bilanci, si riempie il web con banner e annunci. Eh, ma la gente - e la città di Milano - non è mica scema! Almeno non tutta. E questo è un grande, grandissimo, strepitoso, risultato. Giuliano Pisapia, insieme al suo staff, ha saputo invece fare il contrario. E’ partito per tempo, ha spiazzato il PD con l’annuncio, a giugno 2010, della candidatura alle primarie e da li, senza pregresso, ha iniziato a parlare con gli elettori, delle primarie prima e delle elezioni poi. Forse poteva essere più aggressivo, e questo è anche il mio parere. Ci sono stati momenti nei quali, un po’più di verve non avrebbe guastato. Ma tant’è, il suo, l’Avvocato, lo ha fatto. Ora dovrà dimostrare perseveranza, costanza, non cambiare strategia e soprattutto non cadere nel tranello che gli “estremisti” di destra (dalla Santanché a Sallusti) gli stanno già confezionando: metterla ancora più in rissa e cercare il voto non pro (come avviene nel primo turno) ma contro. Qui si gioca la partita e mai come ora la “Forza Gentile” deve essere amica e compagna. Per cambiare davvero
Maurizio Trezzi

giovedì 12 maggio 2011

Moratti, che errore!!

Sino a quel momento era stata praticamente perfetta. Dagli orecchini, perfettamente abbinati al sobrio ed elegante abbigliamento, dal tono della voce, pacato e risoluto, ma soprattutto da come aveva imparato la parte a memoria, ripetendo di volta in volta la lunga, e forse un po’ noiosa (ma questo doveva fare) lista di successi, a suo modo di dire, della sua Amministrazione di Milano, con dovizia di cifre e particolari. Nel confronto televisivo fra i candidati Sindaco organizzato da Sky, Letizia Moratti sembrava Muhammad Alì, tutta presa a trotterellare attorno a un Giuliano Pisapia a cui aveva lasciato il centro del ring ma del quale stava disponendo a suo piacimento. Preparatissima, attenta a centrare la risposta alle domande di Emilio Carelli, capace anche di stuzzicare le riflessioni del pubblico circa l’inadeguatezza del suo sfidante - che non ha nel suo curriculum cariche amministrative, certo è stato deputato ma vuoi mettere fare l’Assessore d’assalto in qualche Comune, come facevano fare una volta i partiti a quelli che poi dovevano essere la “nuova” classe dirigente – Letizia Moratti ha utilizzato più volte la frase, studiata a tavolino: “…forse il candidato Pisapia non si è accorto….forse il candidato Pisapia non sa….”. Perfetto. E poi cifre, richiami al bilancio, numeri, ripeto forse troppi, che però danno l’idea – al pubblico distratto che non ha la voglia, la possibilità l’interesse ad andare a verificarli – di grande controllo della “macchina” amministrativa. Una strategia di comunicazione tipicamente berlusconiana, affinata in 20 anni di sapiente marketing politico, spinta all’ottimismo sfrenato (tanto da fare invidia al noto poeta testimonial della catena di negozi di elettronica) al “va sempre tutto bene” , condita con infiniti: “abbiamo fatto” e da innumerevoli: “faremo anche questo”. Insomma una tattica prevedibile per un candidato uscente che però la signora Brichetto ha interpretato come una navigata attrice. Dall’altra parte, poco, davvero molto poco per poter fare pressa sugli elettori. L’abbigliamento poco curato (uno spezzato da impiegato ATM con la cravatta annodata troppo lunga a penzoloni) il tono di voce poco incisivo (sul timbro c’è poco da lavorare)  i contenuti poco efficaci, sempre a rincorrere e raramente a battere per primo un argomento che potesse mettere in difficoltà il Sindaco uscente – che addirittura una volta Pisapia ha chiamato: ”Ministro” riferendosi alle tematiche della scuola – una strategia forse poco meditata, eppure le domande erano note da tempo, per riuscire a far fare una salto di qualità alla sua campagna elettorale. Utilizzando ancora la metafora sportiva Giuliano Pisapia è quello che gli americani chiamano “underdog”, lo sfidante con lo sfavore del pronostico. E per vincere ha bisogno della gara della vita, dello scatto all’ultimo chilometro, del rush finale sul filo di lana, del uppercut ben assestato alla mascella dell’avversario. E invece, ancora una volta, la “Forza gentile” non si è trasformata in “Uragano di fuoco” (per dirla alla Manga giapponese). Pisapia non è stato incalzante, non ha messo sale sulla coda di paglia della Moratti, non ha ribattuto punto su punto cifre e dettagli, magari sostenendo (anche qui come fanno tutti gli sfidanti alla poltrona di Sindaco da Vipiteno a Mazara del Vallo) che un conto è fare le cose un altro è farle bene, rispettando i tempi (chiedete agli abitanti di Piazza XXV Aprile!), i preventivi di spesa e soprattutto dando risposte ai cittadini non agli immobiliaristi - che vendono casa a 6-7000 euro a metro quadro (edilizia convenzionata??!??) -  considerando, giusto un esempio, le migliaia di osservazioni presentate al Piano di Governo del Territorio, spazzate via dallo tsunami in Consiglio Comunale per arrivare all’approvazione prima della scadenza del mandato (alla faccia della partecipazione e del coinvolgimento della città). I fili scoperti della Moratti, prossimi al corto circuito, sono anche qui ovvi e banali ma andavano battuti con più costanza: la lontananza dalla città, la scarsissima presenza nei luoghi di dibattito istituzionale (certo è andata più spesso dal parrucchiere che in Consiglio Comunale negli ultimi 5 anni), il servilismo nei confronti dei poteri forti, il solito mancato rispetto della regole (tema su cui Pisapia dovrebbe andare a nozze) come per esempio sulle mancate bonifiche a Santa Giulia, dove i bambini giocano su prati al cadmio e allo zinco, sul fallimento della Società partecipate (Zincar), sui posti elargiti nella società pubbliche ai suoi collaboratori (il giornalista Roberto Poletti pagato con soldi pubblici da ATM), sulla mancanza di cofinanziamento alle opere pubbliche (Moratti ha citato Pedemontana e Tangenziale Esterna, bastava ricordagli che per la prima mancano 3 miliardi di euro per poter iniziare i lavori. Il tutto, e qui sta la pecca maggiore di Pisapia, andava messo sul tavolo apparecchiato da Emilio Carelli, con ironia, sagacia, furbizia e acume politico. Doti che avrebbero smontato il castello di numeri e cifre abilmente costruito dagli spin doctor del Sindaco di Milano. Peccato, un’occasione sprecata. Poi è successo l’imprevisto. Abbandonando di colpo la sua flemma, quasi balbettando, usando una secondaria con il “che” come fanno le signore del mercato rionale, Letizia ha sbagliato. Si è lasciata convincere, ma apparentemente non ne aveva assolutamente voglia, da qualche emulo di Stracquadanio o Sallusti del suo staff e, leggendo per la prima volta in tutto il confronto, ha chiamato Pisppia “ladro” e tirato fuori dal polveroso archivio delle falsità la storia della sua ormai lontanissima condanna poi diventata assoluzione. Forse è stato proprio il capolista del Pdl a Milano, questo è il suo stile, a consigliare la mossa, apparsa subito come un harakiri. Menzogna prima di tutto, detta con il raggiro – ma si sa leggendo Manzoni e ricordando la notte degli imbrogli che alla fine non funziona mai – senza concedere il diritto di replica. Resasi conto del patatrac combinato Letizia ha balbettato qualcosa mentre Carelli prometteva a Pisapia di tornare sulla questione, cosa che puntualmente ha fatto, per rimediare al torto subito. E a quel punto Pisapia e il suo staff hanno, finalmente, azzeccato le mosse giuste. Niente stretta di mano, immediata querela con formula aggravata e un’ora dopo la messa in onda del confronto, in mezzo a un gruppetto che richiamava il “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo, Giuliano Pisapia si è presentato davanti a Palazzo Marino per leggere, purtroppo mangiandosi le parole, una dichiarazione al curaro in cui replicava alle menzogne della Moratti. Un veleno che probabilmente Giuliano avrebbe potuto mettere anche durante il confronto televisivo per provare, per una volta almeno, a fare la differenza e mostrare il piglio e la capacità che un Sindaco di Milano deve, necessariamente, possedere. Ora la parola passa alle urne e ai milanesi.
MT

venerdì 28 gennaio 2011

Niente COMPA 2011 !??!?!

L'edizione 2011 di Compa, il Salone Europeo (!!??!!) della Comunicazione Pubblica, non si farà. Con un, come si dice, laconico comunicato stampa l'organizzatore, insieme a Bologna Fiere, ha annunciato la sospensione sine die della fiera. Ci sarebbe molto da dire per commentare questa notizia. A partire da come è stato gestito un evento nato, nelle menti di chi lo ha pensato, ideato e inizialmente curato sotto il profilo del format e delle direzione scientifica, come essenziale momento di confronto di buone pratiche nel mondo della comunicazione pubblica ma in realtà evento di formazione, riflessione e reporting  dedicato alla pubblica amministrazione ma anche  alla politica. Un salone finito con l'essere fiera di paese dove quello che contava era vendere stand "un tanto al metro". Così quando l'organizzatore, sfidando le ire dell'Associazione Italiana dei Comunicatori Pubblici che aveva fatto di Compa il suo feudo e unico evento di visibilità, ha trasferito la sede dalla storica Bologna a Milano, dove la Fiera ne aveva inizialmente sposato gli intenti, chi si occupa di comunicazione pubblica aveva salutato il trasloco come un'opportunità per sprovincializzare il principale evento sulla PA e dargli, finalmente, una veste realmente europea, inserita nelle logiche e nelle dinamiche di una città in evoluzione vicina a svolte epocali e, forse più di Bologna, possibile palcoscenico di un nuovo modo di considerare i servizi al cittadino e l'evoluzione della comunicazione pubblica come elemento essenziale per la crescita della società. E invece, esaurite in malo modo le due esperienza milanesi, si è deciso di tornare all'ovile (già proprio ovile) accettando di fatto la sconfitta rispetto a quegli obiettivi di crescita e di sviluppo dell'evento che Milano poteva offrire. Ora però ecco arrivare il definitivo "de prufundis". Sospensione dell'evento a tempo indeterminato perché? Gli enti pubblici non hanno soldi per affittare gli stand - e questo può anche essere vero, in parte - e poi, sentite, sentite, si vota a Bologna e quindi il Comune non può sostenere e promuovere l'iniziativa: ridicolo...
La realtà è che questo evento non ha più ragione di esistere, purtroppo, perché l'impianto originario è stato completamente sacrificato sull'altare dell'incapacità e della mancanza di contenuti e idee vincenti. E per chi ha fatto il diavolo a quattro per riappropriarsi di ciò che riteneva essergli stato scippato non resta che godersi un bel marchio e un sito dove campeggia il comunicato stampa dell'ennesima sconfitta.