venerdì 10 dicembre 2010

E adesso “Tutti a Casa”

15 novembre 2010

Nemmeno la regia di un genio del neorealismo italiano come Luigi Comencini avrebbe potuto realizzare una sceneggiatura migliore e dirigere un cult movie come quello delle primarie milanesi di domenica 14 novembre. E quel “Tutti a Casa”, capolavoro della cinematografia del maestro nato a Salò, potrebbe non essere oggi solo la storia di una disfatta ma diventare l’epitaffio di un partito, quello Democratico, uscito devastato dalla consultazione popolare delle primarie. Giuliano Pisapia è il candidato della sinistra nella corsa a Palazzo Marino. Insieme a Stefano Boeri, e forse molto più di lui, i veri sconfitti di queste primarie dimezzate – come detto già qualche settimana fa per la grande assenza al voto della Citta Metropolitiana – sono loro: i dirigenti e i burattinai del PD. Un partito che ha sbagliato tutto, o quasi: i tempi, i modi, le strategie, la comunicazione e, forse, anche il candidato. E ora chissà se dopo l’ennesimo fallimento per alcuni (il segretario regionale Maurizio Martina, per esempio viaggia con una media punti da retrocessione, peggio di lui hanno fatto solo Orrico, Roy Hodgson e forse Oronzo Canà) e il primo per altri (Roberto Cornelli e suoi rampolli) qualcosa davvero cambierà in un partito dove, e questa ne è la prova provata, non basta cambiare nomi e facce guardando alla carta di identità, come chiede il boyscout viola Renzi e l’etereo Civati, ma occorre modificare mentalità, progetti e, soprattutto, strategie.
Già perché in questa corsa delle primarie di bucce di banana disseminate sul percorso ce ne sono state tante. E con una precisione quasi scientifica i dirigenti cittadini, provinciali e regionali del Partito Democratico le hanno prese quasi tutte.
Mettiamole in fila
1.   I tempi. Le elezioni per il Sindaco di Milano, si sa, si svolgono ogni cinque anni. Quindi la scadenza elettorale del 2011 era nota da tanto, tantissimo tempo. Ma con la solita sufficienza e sicurezza o forse per meglio dirla tutta presunzione e spocchia il PD - e chi lo ha governato e controllato in città e in regione in questi anni - hanno capito solo dopo la presentazione di Pisapia che era il tempo per cercare un candidato da contrapporre a Letizia Moratti. Ma un futuro Sindaco non si compra al Mercato Comunale di Piazza Wagner. Si forma, nel tempo, con le giuste scelte e le mosse opportune. Ma questo il PD non riesce proprio a programmarlo. Prendete Majorino: uno come lui, capogruppo della minoranza in Consiglio Comunale, dovrebbe in cinque anni studiare da candidato e presentarsi alle primarie. Altrimenti cosa ci sta a fare su quella poltrona? Qual è il suo percorso politico? Stesso discorso per l’algido Martina, destinato a percorrere le orme dalla carriera interna infinita con pensionamento garantito a 32 anni. E invece niente. Zero. Il candidato va trovato fuori, nella “società civile”, recitavano da anni Penati e i suoi. E chi ci ha parlato negli ultimi anni con la società civile? Chi ne ha raccolto le istanze, le richieste? Chi si è fatto promotore delle sue sollecitazioni? Troppo facile pensare di farlo sei mesi prima delle elezioni. Il tempo è scaduto. Così, completamente spiazzati e sorpresi dalla candidatura di Pisapia che invece sapientemente ha scelto modi, termini, luoghi e tempi per la propria apparizione, i vertici del PD cittadino si sono trovati spiazzati come un portiere di fronte al “cucchiaio” di Totti dal dischetto. E sono corsi ai ripari, a modo loro. Hanno deciso in fretta e furia, in un’improvvisata riunione carbonara in una saletta di Linate, di candidare alle primarie e di appoggiare, con il benestare di Bersani e D’Alema, Stefano Boeri. Persona priva di esperienza politica, con il peccato originale di aver collaborato con l’odiata Letizia (conta poco è certo ma vallo a fare capire a chi ragiona solo con gli slogan e legge, magari distrattamente i titoli della stampa locale) ma con anche qualche freccia all’arco per poter essere vincente. Boeri pareva abbozzato con il carboncino, come in un disegno preparatorio di un quadro su tela, con i tratti giusti per essere un buon concorrente nella corsa a Palazzo Marino, forse il migliore. Ma se non parli con le tue anime, se decidi senza consultare, se le scelte sono concordate con il centro romano e non con le tue truppe, ecco che il Generale resta solo, e con lui anche gli attendenti. Soli nella sconfitta.
2.   I modi. Ecco il secondo punto dolente. Non è possibile arrivare a presentare un candidato, sostenuto dal Partito, senza che le varie anime del PD siano, quantomeno, coinvolte nella decisione. Mancanza di sagacia e di acume politico. Dettato, forse, dalla poca esperienza di persone chiamate a fare scelte decisive per il futuro del Partito e poi lasciate troppo sole e senza sostegno da chi, alle loro spalle, doveva essere la cavalleria capace di arrivare in soccorso della fanteria gettata troppo presto nella battaglia. E invece Boeri è stato catapultato nella mischia come scelta fatta, impacchettata e infiocchettata a dovere, quando, con le spalle al muro e dopo un’estate passata a boccheggiare come un pesce rosso lasciato nella boccia del salotto mentre i padroni di casa sono partiti per il mare, i vertici del Partito hanno necessariamente dovuto proporre un candidato. I giornali erano già pieni di articoli su Pisapia e sul silenzio del PD. Nei circoli culturali si dibatteva di temi e nel dibattito pubblico il più sagace Pisapia era da mesi sulla bocca di tutti. Bisognava fare presto. E allora avanti tutta con modi, però, che non sono piaciuti all’ala cattolica del partito e nemmeno a qualche componente della direzione – sintomatico l’appoggio di Corritore a Pisapia – portando quindi a un lavoro di taglia e cuci che ha distolto per settimane chi doveva lavorare per Boeri dalla sua promozione ma, soprattutto, ha lasciato all’elettorato potenziale la solita, e ormai irrisolvibile impressione, di partito diviso, sfilacciato e incapace di gestire al suo interno le questioni politiche.
3.   Strategie. Su tutto è aleggiata la solita mancanza di strategia, la cronica incapacità di programmazione, surrogata da una corsa costante a tappare falle, con un affanno utile solo a consolidare la posizione del rivale. Di mezzo ci si è messo anche Onida, candidato fantasma del mondo ingrigito degli intellettuali, lontani anni luce dalla città reale. Uno però che si intende di norme e regolamenti e ha fatto il diavolo a quattro ogni qualvolta qualche virgola non era messa al suo posto. Anche in questo caso non si è stati preparati ad affrontare le sfide, lavorando sull’emergenze, come una sorta di “protezione civile” improvvisata che ha preso il posto della Direzione. Una Direzione spesso in affanno, quasi imbarazzata, nel suo sostegno al candidato Boeri da tenere però in maniera politicamente corretta  – anche per non esporsi troppo – come avrebbe richiesto l’essenza delle primarie. E invece ecco gli endorsment, le liste degli iscritti messe a disposizione quasi con fastidio, gli incontri pubblici organizzati con poca convinzione perché tanto il Partito aveva deciso e quindi i giochi dovevano essere fatti. Non è andata così. Nessuna strategia nemmeno in ambito comunicativo dove il PD non brilla (eufemismo) per capacità propositiva e tattica. Mancanza di cultura e di capacità. Persa, per questione di tempi e per l’incapacità di farne un laboratorio di discussione con la città (basterebbe copiare il format, non i contenuti, del Meeting di CL), la festa del Partito al Monte Stella, la comunicazione con i circoli, con i media e con quell’elettorato agnostico e lontano - che però conta per l’80% in una consultazione amministrativa - è stata criptata, analogica e non digitale, con parole e riferimenti banali. Scimmiottata dal marketing politico della Destra che invece è frutto, non casuale, di un progetto strategico durato anni e su cui il PD è andato sempre a rimorchio. L’architetto Boeri ha scelto il blu, quasi azzurro(??), per i suoi messaggi, lasciando (che pacchia!!!) il rosso al vendoliano Pisapia che utilizzando proprio lo schema messo a punto sapientemente nella lontana Puglia dal leader di Sinistra e Libertà, ha chiaramente identificato target, strumenti e modalità. Esattamente come si fa quando si deve sviluppare una strategia di comunicazione. Procedure sconosciute ai vertici del PD provinciale e cittadino. I risultati sono sotto gli occhi di tutti
4.   Impatto. L’esito delle primarie è devastante. Non perché Boeri abbia perso, lui ha davvero poche colpe, ma per come ne esce sconfitto il Partito Democratico. Inteso come suo gruppo dirigente cittadino e metropolitano, come persone nuove sorrette da ideali e tattiche vecchie, portati a ragionare non sempre con la propria testa ma con pensieri degli altrui strateghi. Perdere le primarie. Perdere clamorosamente partecipanti (altro che: “Splendida giornata di democrazia” come dichiarato nelle notte da uno spaesato Cornelli) a votare c’è andata la metà degli attesi (67mila contro gli oltre 100mila obiettivo minimo). Perdere il consenso degli iscritti e dei militanti che non avevano nemmeno l’alternativa del mare in un’uggiosa domenica di novembre e quindi hanno scelto la Santa Messa e le chiacchiere in Oratorio la mattina o i programmi nazionalpopolari del pomeriggio pur di non andare a esprimere il loro voto. Perso nella credibilità, perché dopo averci messo la faccia o vinci o sei fuori, non ci sono mezze misure

E adesso è richiesta la prova di coerenza, per mettere finalmente persone in grado di poter dare non solo una faccia nuova ma un’impostazione diversa alla guida di un Partito che deve essere plurale e non singolare, popolare e non populista, innovatore e non conservatore, coraggioso e non ingessato, rinnovato e non pensionabile, vivo e non morto.
Quindi, avanti “Tutti a casa”. 

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